Io sto con Barbara

La notizia, se notizia si può chiamare, ha ingolosito molti cronisti di quotidiani on-line, impigriti dalle vacanze, desiderosi di accendere un po’ di carburante, di affilare le zanne per i mesi autunnali, e cosa poteva fare più rumore di questo: “una psicologa di sinistra – ‘molto attiva sui social’ (una specie di sentenza di presunzione, come dire che non abbia niente di meglio da fare…) – crocefigge un ragazzino di Calenda e Renzi, reo di mostrarsi con ‘un Rolex’ (ma no, ‘è un Audemars Piguet’, ha sottolineato il diretto interessato, perché se volete invidiare i ricchy dovete imparare almeno le basy)”. E via  con i rimbalzi social, le prese di posizione anche molto dure, i rimproveri e le shit storm contro la suddetta dottoressa, una specie di nuova Savonarola del web, pronta a imprimere lettere scarlatte infamanti sui degli sprovveduti e insipienti sbarbatelli, che si affacciano alla vita del paese. Alla fine sono arrivate persino le lettere sdegnate all’ordine degli psicologi (che speriamo abbia di meglio, oppure niente, da continuare a fare).

Ecco, volevo dire la mia in merito, ed è che mi schiero con Barbara Collevecchio (@colvieux). Forse non avrei intrapreso la battaglia, sicuramente avrei mollato parecchio prima, ma sono altresì convinto che fosse, e sia, perfettamente legittimo perorarla.

Due considerazioni in merito al supposto abusato, un ventunenne pariolino (no, non è illegittimo né avere 21 anni, né adottare uno stile di vita borghese, e – preciso subito – non c’è un limite al numero di orologi costosi che si possa portare sotto il polsino). Il caro Roman Pastore è perfettamente legittimato a fare quello che gli pare. Se vogliamo probabilmente sarà anche il personaggio che godrà del maggior numero di vantaggi conseguenti alla diatriba: in poche ore il suo nome, da marginale candidato calendariano a un municipio di Roma, è stato proiettato nella politica nazionale, e se tanto mi dà tanto, sentiremo parlare nuovamente di lui nel corso di pochissimi anni – anche per ciò che gli è accaduto negli ultimi giorni -. Se questa sia una fortuna o una iattura, lo sapremo esclusivamente dopo.

Quello che vorrei fosse chiaro, e almeno per me è chiaro, è che le scelte di Roman, persino quale orologio decida di indossare, o quante migliaia di Euro possa costare, sono discutibili almeno secondo due prospettive differenti. Intanto è un maggiorenne, con (almeno) un profilo social, perciò quel che lui decide di mostrare – e persino l’ostentazione sguaiata con cui mostra, orgoglioso, un orologio che la maggior parte di noi, io di sicuro, non avrà mai – è “opinabile”, ovvero passibile di opinioni favorevoli o contrarie. Non è sbagliato, certo non necessariamente, ma se ci si mostra è perché si passa dall’essere (esclusivamente) soggetti a oggetti di dibattito. Può non piacere. Anzi, se devo dire a me non piace, ma trovo sarebbe disonesto creare delle verginità a posteriori, per cui un comportamento, socialmente rilevante – è il soggetto/oggetto a farlo rilevare – può essere discusso. Non delegittimato ma, appunto, fatto oggetto di osservazioni. Una volta, ero supplente in una scuola media, un ragazzino, il quale si comportava in modo molto difficile da gestire per noi insegnanti, prese una sanzione disciplinare piuttosto pesante. Sapemmo poi che il pomeriggio stesso la madre lo aveva condotto in un centro commerciale e gli aveva preso le costosissime Adidas – proprio quelle che voleva tanto -. Insomma, lo premiò invece che dargli un segnale diverso. L’azione di quella madre è legittima? Perfettamente. 

Sarebbe stato legittimo perseguitare ragazzino – in quel caso, avendo tredici anni, lo era di sicuro -, gridandogli “viziato” ad ogni piè adidasianamente sospinto? Ovviamente no. Ma se la madre avesse pubblicato una story su Instagram, con tanto di foto dello scontrino, in cui coccolava il suo pulcino, così poco compreso e valorizzato dai suoi docenti, si sarebbe prestata a qualche critica? Ancora sì. Per esempio quando un paio di anni fa il figlio di Salvini, al tempo quindicenne, si fece una scorrazzata sulla moto d’acqua della polizia, la cosa fece discutere molto. Il padre rispose a ogni critica mossa, dicendo che “non si toccano i bambini!”, ma aveva torto. Il suo “bambino” aveva come più o meno ogni quindicenne normodotato una voglia matta di andare su una moto d’acqua, e non fa una grinza. Ma le responsabilità degli adulti, l’accondiscendenza delle forze dell’ordine, un certo bullismo da parte di chi deteneva un potere reale nel paese, un “faccio il cazzo che voglio”, sono cose che possono – devono? – essere stigmatizzate. Si può discuterne? Ancora un sì.

I social sono diventati luoghi dove si professa una assertività univoca, talvolta turpe, spesso ineducata, ostile a priori, e non possiamo fingere il contrario. O chiudiamo, e ripensiamo il ruolo dei social nella nostra esistenza, o non possiamo sfilare il filo d’erba che ci è andato di traverso. Non ci limitiamo a essere le nostre scelte, ma anche di rappresentarle, oneri e onori compresi.

Anche perché Roman Pastore non solo è maggiorenne e (spero) vaccinato, non solo sui social fa una ostentazione insistita di orologi costosissimi, ma il giovane rampollo, candidato di Calenda – come già detto – in una delle municipalità della capitale, compare anche tra gli scalpitanti puledri della scuola politica di Matteo Renzi, e anche questo è rilevante. Roman deve comprendere che la nostra è una democrazia rappresentativa, e chi si sporge verso il mondo dei rappresentanti, si espone una seconda volta. Ciò che fa, persino del proprio denaro, pur se continuerà a essere perfettamente legittimo, sarà potenzialmente oggetto di dibattito. Lo si potrà giudicare opportuno o meno, di buon gusto oppure no. E se decide – legittimamente, per carità – di partecipare alla scuola politica, di quell’istrione che porta il nome di Matteo Renzi, che nel nome di una cultura che si dice “meritocratica”, che è stato segretario di quello che fu un vero partito di sinistra, dice di voler – dal proprio scranno del 2% dell’elettorato – abolire ogni forma di reddito universale di cittadinanza, e lo fa indossando camicie ben stirate di lino, sfoderando abbronzature biscottate, sorrisi da borghesuccio arrivato, e al polso porti un Audemars Piguet da 30k, allora è bene sappia che chi si occupa della povertà nel paese, chi ha a cuore i meno fortunati, che conosce le storie di marginalità sociale (e psicologica, perché no?), le storie di ordinario abuso tra chi ha tanto, troppo rispetto a chi ha poco o niente, ebbene, può essere oggetto di critiche. Il suo personaggio – pubblico e social – potrà essere giudicato, così come il suo mentore, come un interlocutore triste e decisamente poco credibile. Sappia che il giorno in cui vorrà esporsi in pubblico con al collo il Kooh-i-Noor, farà qualcosa di legittimo quanto criticabile. Non gli è, a lui e nessun altro, data la possibilità di muoversi al di fuori di questo semplicissimo, quasi banale, meccanismo. Per fortuna.

Scritto di getto, e non riletto.

Lascia un commento