@

Si dovrebbe dire “scritto a quattro mani”, ma non sarebbe corretto. Perché rispondendosi via SMS – in un’era antecedente ai vari whatsapp – di dita ne abbiamo usate molte di meno delle 10 canoniche. Ecco questo minuscolo racconto nato dallo scambio tra me e il mio carissimo amico e scrittore Stefano Biavaschi. La sua è la prima parte, la mia la seconda.

La bambina disse alla lumachina:
“Ciao bella lumachina. Perché te ne stai tutto il giorno nel guscio?”
“È la mia protezione. Le mie carni sono molto delicate. Ogni cosa può ferirmi.”
“Ma così non vedi nulla del mondo. Non puoi vivere sempre nella paura.”
“Lo so. Ma fa parte della mia natura muovermi con la mia casa.”
La bambina sorrise con tenerezza. Raccolse la lumaca e la pose delicatamente nella sua mano. La lumaca sentì il tepore di quella pelle morbida. Le piaceva sentirsi cullata da quella manina.
“Davvero non ti fideresti di me?- disse la bambina accarezzando delicatamente il guscio della lumaca, che avvertiva per la prima volta la dolcezza di un tocco così tenero- Eppure sarebbe così bello vederti tutta intera…”, aggiunse la bambina mugugnando graziosamente. La lumaca sentì di potersi fidare e scivolò lentamente fuori dal guscio. Fu il sorriso compassionevole della bambina a convincerla ad uscire tutta quanta.
Gli occhi la bambina divennero radiosi, e repentinamente fece uscire da dietro la schiena l’altra mano, che reggeva un lungo spillone col quale subito trafisse la carne della lumaca.
Ridendo felice corse veloce verso le sue amichette portando il suo trofeo e gridando: “Hei, guardate!”

Il dolore era lancinante, e più che lo spillo che le lacerava le carni era l’idea che la prima volta che si era fidata era stata tradita. E in quel modo. Mentre la bambina raggiungeva il gruppo con quel sinistro trofeo, osservò un attimo prima di perdere definitivamente le energie, gli occhi di chi l’aveva uccisa, e vi scorse per un istante, come una patina, quella dolcezza che l’aveva fatta esitare, e uscire dal guscio. E capì. Quella bambina prima  che carnefice era stata vittima, prima che predatrice era stata preda, ferita prima di ferire. Quella bambina un guscio forse non lo aveva mai avuto.
Intanto lo spillo era entrato così a fondo nelle viscere da farla scivolare fino a lambire col corpo le dita omicide. Sentì ancora quel contatto caldo e “buono”. Ne godette. In quel momento la bambina contrasse per un istante il volto, quasi avesse avuto un brivido.
La lumaca pensò: “No, non è stato solo un male uscire dal guscio.” Poi si contorse in una smorfia che sembrava un sorriso, e spirò.