Harry (non) ti presento Soccy

La vicenda del libro del Cardinal Sarah – Dal profondo del nostro cuore – e il giallo, fitto di conferme a mezza voce e smentite “dai più stretti collaboratori” del papa emerito Benedetto XVI, ha ovviamente lacerato le carni già sofferenti della chiesa, rendendo sempre meno surreale la prospettiva di un nuovo scisma. La divaricazione politica preannunciata dallo smembramento della DC, dopo Tangentopoli, ha finito per dilatarsi in ogni piega del pensiero, dapprima politico, poi ecclesiologico e infine in quello teologico.

Non ci interessa il merito, ovvero se l’appello del cardinale guineano, se l’accorato appello alla curia romana a non seguire i modernisti di oggi, i padri sinodali amazzonici che hanno fatto importanti aperture sul superamento del celibato sacerdotale, sia giustificato.

La ratio, per questa volta almeno, non è così interessante. Le lotte intestine tra modernisti e tradizionalisti, riformatori e conservatori, hanno contraddistinto molti secoli nella storia della chiesa. Un déjà vu manco troppo originale oltretutto.

La grande novità è che, in modo informale, le due fazioni possono riferirsi… a un pontefice differente. Il riferimento ovviamente va ovviamente alla particolarissima situazione, quella attuale, dove un pontefice Benedetto XVI si è dimesso ancora in vita mentre quello successivo, Francesco, ascendeva al soglio di Pietro. Joseph Ratzinger ha avuto un coraggio enorme, quasi titanico, nell’affrontare il mondo per stabilire qualcosa con pochi precedenti: discendere i gradini del trono vaticano sotto gli occhi di miliardi – letteralmente – di fedeli che da lui si aspettavano tutto fuorché questo. Si sono fatte  centinaia di illazioni, ma l’unica certezza è che si è trattata di una scelta personale, per quanto sconcerto o disorientamento possa causare. In fondo quella di Benedetto XVI è stata una ruvida riscossa del singolo sulle viscose aspettative del collettivo. Coraggiosa a prescindere. Non sapevamo allora, né tuttavia sappiamo adesso. Allora perché, ben sette anni dopo, dobbiamo constatare che il tramonto silenzioso di una figura piena di dignità, alla fine non si stia rivelando tale? Silenzio un corno, perché la presenza dell’ex pontefice si sta rivelando un’enorme fonte di imbarazzo per il papa argentino, più ingombrante che mai. Ancora una volta ignoriamo il tasso di volontarietà di Ratzinger, se sia manipolato o il lucido comandante di una faida ecclesiale (eventualità che porterebbe però a considerare gli eventi del 2013 sotto una nuova luce), se il logoramento di sette anni fa sia diventata la demenza senile di oggi, ma certo gli angoli meno illuminati dei corridoi vaticani si sono riempiti del baluginio di lame come da tempo non accadeva, gli appelli sull’unità dei vanno a farsi friggere. Benedetto XVI – questo pensiamo – avrebbe dovuto evitare, specialmente nella propria particolarissima posizione, di mettersi di traverso. E non “perché avesse torto”, ma per evitare di versare benzina su una faida che potrebbe comportare non lo scisma più importante della chiesa, ma di certo quello più cretino. Non siamo tornati ad Alessandro VI, né agli antipapi avignonesi, ma tira una brutta, bruttissima, aria. Gli appelli evangelici all’unita dei cristiani sono andati a farsi a benedire, e per gli appartenenti alle fazioni è sufficiente incolpare gli adepti dell’altra.

Con qualche distinguo. Perché la chiesa potrebbe si esser lì per addentrarsi in una nuova “notte nera” nella quale tuttavia, parafrasando Hegel, non tutte le vacche sono nere. Non allo stesso modo.

Qualcosa di nuovo a Roma c’è. O forse di molto antico, ma che di nuovo ha l’arroganza e la hybris del nostro tempo. E francamente non se ne sentiva bisogno. Mettendo da parte la vexata quaestio del celibato presbiterale, se sia una strada percorribile oppure no, se sia giustificato lo scandalo millantato dai conservatori, ciò che emerge tra le fila di questi, è il rancore, l’idiosincrasia, la vera e propria ossessione che non riguarda solo papa Francesco, ma il punto nodale che il suo pontificato rappresenta, ovvero il cambiamento. Ogni cambiamento. Non si tratta di tracciare un positivo o un negativo,  ma la rottura della omeostasi asfittica nella quale si crogiolano i nuovi lefebvriani. E dire che proprio la “obbedienza a Roma” dovrebbe essere il cardine principe di un’ortodossia cattolica in quanto tale. Perché insomma, se “lo Spirito soffia dove vuole” non è che si può nicchiare più di tanto se soffia da un’altra parte. Ed ecco dunque il pasticcio, perché se le frange conservatrici della chiesa cattolica, i cui Maître à Penser sarebbero gli improponibili Antonio Socci, Mario Adinolfi & Diego Fusaro, o la redazione di La nuova bussola quotidiana. Insomma, non esattamente dei giganti del pensiero. Già la caratura di questi interpreti dovrebbe imporre riflessioni molto ponderate chi, all’interno dei palazzi vaticani, ammicca all’eventualità di un nuovo scisma. Ribadiamo: non si tratta neanche del territorio che forzosamente si vorrebbe difendere, ma del tipo di esercito che ci si troverebbe a comandare.

Soffermiamoci su uno come Antonio Socci, uno che per fare la tara aveva a suo tempo abbandonato i bastioni di Comunione e Liberazione trovandoli troppo liberali. Ma davvero il cardinal Sarah, i teocon statunitensi e quel che resta del povero Benedetto XVI vogliono confondersi con questi guitti? Non seguono le rassegne stampa internazionali, dove scoprirebbero che le loro posizioni in Italia – capitale Roma – sono difese da quotidiani come La Verità? Non vorrebbero dare una sbirciata al profilo Twitter – ormai l’infallibilità ex cathedra si ottiene a colpi di follower – dell’ex redattore de Il Sabato, dove oltre a trovare incredibili conferme alla svolta comunista di Francesco (scaturita da giochi di luci e ombre, dove in una certa fotografia compare una falce e un martello), si fa campagna elettorale di Matteo Salvini, e un buffetto a Trump (perché sì, il presidente USA magari evapora un generale iraniano e ci porta sul ciglio della terza guerra mondiale, erige muri per evitare i disperati, definisce Haiti un “buco di culo”, ma, ehi, lui è “pro-life”). Sanno costoro chi sia Matteo Salvini? Davvero si vuole artefare una nuova obbedienza ecclesiale che salvaguardi le posizioni più conservatrici se il prezzo è l’alleanza con un cialtrone baciapile di proporzioni bibliche? La chiesa – quella vera – ci ha messo mezzo secolo a ricostruirsi una verginità dopo aver definito Mussolini “uomo della Provvidenza” per ributtarcisi dentro con la versione burlesque (ma non per questo meno pericolosa)? Davvero si vuole ravvivare il focolaio postridentino con questa legna? Ma soprattutto si vuole davvero inserire la paranoia – l’elemento naturale dei suddetti personaggi – nel depositum fidei? Ci si vuole davvero lanciare in una nuova riforma guardando, come a un dottore della chiesa, Costanza Miriano?

Noi, per lo 0 che contiamo, saremo tentati di usare il criterio rovesciato. In una nota sequenza del film “Harry ti presento Sally”, una radiosa Meg Ryan simula un orgasmo seduta in un ristorante. Convinta dalla performance la vicina di tavolo allora, alla domanda del cameriere, ordina “quello che ha preso lei.” Davvero si sospetta papa Francesco di agire sotto l’egida di Karl Marx? Si avverte il sentore di eresia un po’ ovunque? Siamo davvero arrivati qui? E sia. Nella storia di un popolo come quello cristiano ci stanno anche passaggi di grandi confusione. Ma se si vuole fare una cosa intelligente, davanti a un dilemma, si vada a consultare il profilo twitter di Antonio Socci, per poi ordinare un altra pietanza.